Il sesso è marketing ma l'erotismo è arte

 




C'è stato un momento nella mia vita in cui mi sono accostata al Karyukai o mondo delle geishe, più che altro per motivi professionali. Una realtà che ho solo sfiorato con pudore, come si fa con tutto ciò che deriva da tradizioni lontane dalla propria cultura.
Anche se le mie ricerche erano meramente tecniche sono comunque rimasta incastrata in questa tela di seta sottile che mi si è appiccicata addosso. Così rivelatrice e incomprensibile allo stesso tempo.
La figura della Geisha è molto lontana dall'idealizzazione occidentale della donna sottomessa. Non è mai serva ma servile. Un concentrato di seduzione che ha poco a che vedere con l'aspetto esteriore, la fisicità o la bellezza. Eppure è la contemplazione dei dettagli che la rende unica: a metà tra un'oggetto e una divinità. Una creatura silenziosa e asseriva perché intelligente e in grado di intuire e addirittura prevenire i pensieri del partner. Non ha bisogno di essere aggressiva perché la sua potenza deriva dalla conoscenza di sé. Una consapevolezza così forte da valicare ogni formalità, come la perdita del proprio nome.
Il suo compito non è quello di offrirsi per spegnere l'eccitazione ma, al contrario, impegnarsi per accenderla. Perché una brava Geisha non sa usare solo il cervello ma anche il corpo. Tutto, in ogni sua curva e avvallamento. Nonostante la sua sottomissione ha il massimo controllo su ogni movimento. Persino sul respiro che può passare da semplice sussurro ad ansimo intenso, come se cantasse una canzone senza parole.
Perché, sebbene parli saggiamente, è in grado di usare la bocca come essenziale strumento di piacere, e non mi riferisco sostanzialmente al sesso. Il bacio di una Geisha è qualcosa che non si dimentica facilmente.
E questa è arte.
Poi ci sono io. Un'amica mi ha definita Geisha col kalashnikov. Lo so, purtroppo è una contraddizione in termini ma non posso farci nulla.

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